– Ah! – esclamò la strega – lo sapevo che avrebbe funzionato!
Corse quindi a prendere un enorme specchio polveroso e lo mise davanti a Ciro.
– Ecco qua! Ora sei il principe Amìr di Abumàr!
In effetti, Ciro adesso era proprio un principe, con tanto di vestito sontuoso, lungo mantello e un turbante azzurro sulla testa. La strega Micillina gli diede anche un bellissimo cavallo bianco con il quale il neo principe cavalcò oltre il bosco di pini, fino a raggiungere una radura. Lì Ciro scorse una fanciulla intenta a raccogliere margherite.
La bella Angelica – matite di Elettra Casini
Il volto della ragazza era illuminato dal timido sole del mattino che la rendeva bella perfino agli occhi di un diavolo. Infatti Ciro sussultò un pochino quando la raggiunse, e lei, non appena lo vide arrivare, si sistemò i lunghi capelli biondi che le coprivano parte del volto.
Era bellissima e Ciro all’improvviso sentì qualcosa battere nel petto, una cosa che il diavoletto non aveva mai avvertito prima. Chi lo sa che cos’era…
La fanciulla sorrise stringendo gli occhi, un gesto che il diavoletto Ciro avrebbe ricordato a lungo.
– Dove vai, mio bel principe? – chiese lei.
– Devo andare al castello – rispose lui – sapresti indicarmi la strada?
– Prosegui per questa radura – disse la fanciulla puntando il dito alla sua destra – laggiù c’è un sentiero che ti condurrà al castello.
Prima di andare, Ciro volle chiedere alla fanciulla il suo nome. Lei sorrise ancora e, dopo una breve pausa, rispose: – Angelica.
La strega indicò a Ciro l’enorme pentolone al centro della stanza. In quel pentolone bolliva una brodaglia nauseabonda. Micillina vi intinse un grosso mestolo di legno e ordinò al diavoletto di bere e subito dopo ripetere tre volte la formula magica:
Maramao maramò, un principe diverrò! Maramao maramello, il principe più bello! Maramao maramurro, un bel principe azzurro!
Ciro afferrò il mestolo e, con gran fatica, trangugiò la brodaglia e dopo ripeté per tre volte la formula magica, però non accadde nulla. Forse la quantità di pozione non era abbastanza. Micillina strappò il mestolo dalle mani di Ciro e lo intinse di nuovo nel pentolone. Il diavoletto bevve ancora, ripeté la formula, ma non accadde un bel niente.
Il calderone della strega Micillina – E. Casini
Micillina iniziò ad innervosirsi. – Non capisco – si lamentò – avresti dovuto trasformarti in un bellissimo principe azzurro.
Ci riprovarono una terza, una quarta, una quinta volta, finché il pentolone fu svuotato del tutto. La faccia di Ciro, intanto, da rossa divenne blu, poi gialla, poi verde… e gli venne un terribile mal di stomaco.
Tre anni fa, nel 2014, pubblicai un volumetto dal titolo un po’ strano, trattandosi di una fiaba per bambini. Si chiamava: Piano piano, porta a porta.
Piano piano porta a porta, L.Editrice, ISBN 9788898778010
Scrissi questa storia di 15 pagine nel 2010 per un concorso letterario di cui ricordo solo il tema: “la porta“. Mi sembrava un po’ banalotto come tema; all’epoca si impazziva per Le cronache di Narnia. A me però la porta dell’armadio verso altri mondi mi pareva sempre lo stesso cliché ripetuto allo spasmo. Così proposi una cosa diversa.
Pensai ad una storia ben calibrata, in cui la porta non era altro che il pretesto per raccontare un percorso. Il principe deve raggiungere la principessa ma si trova di fronte a una, due, tre porte chiuse. Davanti ad ogni porta c’è una persona che soffre e che dice dice sempre la stessa frase: “Questa porta è chiusa e non v’è chiave che la apra, né spranga che la forzi”.
Di fronte a una porta chiusa molti si girano e tornano indietro senza salutare; invece il principe rimane, si siede e parla con chi ha bisogno di essere ascoltato.
Pensai che una storia così poteva insegnare i valori dell’ascolto e della pazienza. La fiaba stessa è lunga, eppure è avvincente! Pensai: “questo è un capolavoro”. Era una storia bella perché era autentica, era mia. Non era frutto di un cliché. Era quello che avevo dentro… quello che avevo da dire, da insegnare.
Persi il concorso. Non arrivai nemmeno fra i primi 20.
Allora feci leggere la fiaba ad uno scrittore e mi venne consigliato di scrivere in modo diverso. Ma io non volevo scrivere in modo diverso! Secondo me quella storia era scritta bene. Allora la feci leggere ad un’amica che studiava illustrazione, che di bambini se ne intende. Forse questa volta…
“Troppo classica“, mi disse. “Non funziona una storia così”.
Non capivo: la mia amica mi aveva detto che non funzionava. Mi disperai e chiusi la fiaba in un cassetto con la malsana idea di lasciarcela per sempre. Mi convinsi che una storia così non interessava a nessuno, che era scritta male, che in fin dei conti era troppo classica.
Poi, nel 2013, per caso mi imbattei nel file piano_piano_porta_a_porta.doc. Lo aprii e iniziai a leggere la fiaba che avevo scritto tre anni prima. Me ne ero completamente dimenticato. Non riuscivo a scollare gli occhi dal testo. Dovevo assolutamente leggerla tutta. Ma l’avevo scritta io??? Ma… aspetta un minuto! Non era “la storia che non funziona“? Ma allora perché diavolo a me piace così tanto leggerla?
Forse non funzionavo io, o forse mi mancava qualcosa. Presi il cellulare e chiamai Valeria Rambaldi. Le chiesi se aveva voglia di illustrare una storia e che, ovviamente, l’avrei pagata. Lei disse di sì.
Così la fiaba fu illustrata da Valeria. E per la miseria se mi piacciono quelle illustrazioni!
Poi arrivò la pubblicazione con L.Editrice. Ci siamo, pensai! Con le illustrazioni di Valeria, la fiaba funzionerà… è fatta!
Non funzionò. Perlomeno non bene come speravo. Ricevevo critiche del tipo: “il testo è troppo denso“, “la storia è classica“; “è una fiaba” (la critica finiva lì, giuro!).
Passarono due anni. Nel frattempo i bambini leggevano e mi chiedevano: “quando ne scrivi un’altra?”, E improvvisamente capii: non erano i genitori che dovevo catturare, ma i bambini!
Iniziai a regalare la fiaba a destra e a manca. I bambini piccoli piccoli se la facevano leggere dalle mamme prima di addormentarsi. Qualcuno, dopo che i bambini l’avavno ascoltata più volte, volle pagarmela assolutamente. “Va bene”, dicevo io, “sono 5 euro“. “Così poco?“, mi chiese una mamma. “Sì”, rispondevo io. “Mi basta coprire le spese di stampa“.
Sono passati tre anni esatti dalla pubblicazione. Più di mille copie hanno preso il largo. Per andare chi lo sa dove… Ma oggi una mamma è entrata in ludoteca con le due figliole e con il più grande dei sorrisi mi ha detto che il mio libretto era bellissimo.
Alcune persone trovano un libro bello, altre no. Ma i valori positivi che vi sono racchiusi restano dentro,
come un sorriso ti resta nell’anima.
Se ne volete una copia, scrivetemi dalla pagina CONTATTI.
Vagò nel bosco per ore e ore, ma della strega Micillina nessuna traccia. La cosa buffa è che pure Micillina vagò per ore e ore in cerca del diavoletto. I due compirono un cerchio rincorrendosi, senza saperlo. Poi finalmente, quando ormai era scesa la sera, si incontrarono.
La strega Micillina e il diavoletto Ciro – E. Casini
– Saresti tu il diavolo che ho richiesto? – chiese la strega con voce nasale. Indossava un fazzoletto sulla testa e dei vestiti logori. La sua pelle era tutta grinzosa e aveva un bruttissimo naso adunco. – Credo di sì – rispose Ciro alla domanda che gli era stata posta, – e tu sei la strega Micillina? – Strega…! – rispose quella schifata, – non sono una strega, io! Sono… sono… un’esperta di magia nera! – Ah, ecco! – esclamò Ciro, – allora sei una fattucchiera! – Ma quale fattucchiera! Un po’ di rispetto, giovinastro! E bando alle ciance: sei o non sei il diavolo che ho richiesto? – Sì, sono io. – Bene. Ho io un bel lavoretto per te. – Meno male! Sa, perché certe volte… Micillina lo interruppe con un gestaccio della mano: – Senti, chiacchierone – disse con la sua vocetta stridula – non ho mica tempo da perdere, io. Ho già venduto l’anima al diavolo, e mi deve ancora pagare, perciò adesso stai zitto e seguimi.
Gli amici diavoletti non parlavano bene del pianeta Terra: dicevano tutti che era un posto brutto, troppo verde e troppo blu. Per fortuna ci pensavano gli uomini a rovinarlo, altrimenti sai che noia!
Il diavoletto Ciro tra i pini – Elettra Casini
Così dicevano, eppure al diavoletto Ciro non sembrava un posto così brutto; anzi, quasi quasi lo trovava carino. Perlomeno il luogo in cui era atterrato: un bosco di pini dai quali si sollevava un profumo di resina assai gradevole.
Ciro si alzò, si spolverò ben bene e si mise subito alla ricerca della strega.