Zero Alfa: capitolo 20

Ti fidi di me?

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

Marvin passeggiava avanti e indietro, nervoso. X gli aveva dato istruzioni precise: doveva aspettare davanti alla casa di Cristina. La ragazza sarebbe arrivata da un momento all’altro.

“E cosa ti dà questa certezza?”, aveva chiesto Marvin all’agente.

“Ragazzo”, aveva risposto X con sufficienza, “io viaggio nel tempo”.

E Cristina arrivò, proprio come aveva detto l’agente X. Era molto agitata: raggiunse Marvin con il fiatone. “Grazie a Dio!”, disse abbandonandosi alle sue braccia.

“Che succede?”, chiese Marvin tenendola stretta.

“Max…”, fece lei col fiato corto, “ha tentato… di uccidermi…”

“Cosa?!”

“Sì… lui… mi ha puntato un coltello alla gola… Oddio! È stato orribile…”

Lui la strinse di più.

“Marvin…”, aggiunse lei con un filo di voce, “non lasciarmi sola stanotte.”

Cristina accompagnò Marvin nel proprio appartamento. Una volta entrati, lo invitò ad accomodarsi sul divano che stava in mezzo alla stanza, mentre lei andava in cucina a prendere qualcosa da bere.

Marvin trasse un profondo respiro e si sedette.

Cristina arrivò due minuti dopo con un paio di birre già aperte. Lei bevve un po’ e poi iniziò a parlare: “Stavo con Max”, disse, “passeggiavamo tranquilli, ma poi non so… non riesco a ricordare cos’è successo dopo. È come se la mia memoria avesse dei buchi, non so spiegarlo. All’improvviso il mio cervello si è annebbiato.”

Marvin la guardò preoccupato. “Cristina…”, mormorò, “ti ha violentata?”

“Oddio, no!”

“Ne sei sicura?”

“Beh, insomma… ho la memoria che fa le bizze, però lo saprei se qualcuno mi avesse violentata, ti pare?”

Lui si toccò il mento, dubbioso. “Mm…”, mormorò ancora, “ti ha baciata?”

“Non ne sono sicura.”

“Non sai se ti ha baciata?”

“No. Cioè sì. Cioè… Oh, Dio! Sono così confusa! E poi è spuntato fuori quell’altro tizio…”

“Vestito di bianco?”

“Lo conosci?”

“Può darsi. E che ha fatto questo tizio?”

“Non lo so, ma credo mi abbia salvata. Ricordo solo che Max mi teneva bloccata con un braccio e poi mi ha puntato un coltello alla gola.”

“Scherzi?”

“No.”

“Hai chiamato la polizia?”

Cristina ripensò a quello che aveva fatto dopo l’episodio con Max: aveva preso il cellulare per chiamare la polizia, ma poi aveva pensato a Marvin. Stava per chiamarlo, ma poi aveva deciso di non perdere tempo e correre a casa, come gli aveva suggerito quel tipo vestito di bianco.

“E Max, dov’è adesso?”, chiese ancora Marvin.

“Non lo so, credo sia con quei due tizi.”

“Due tizi? C’era un’altra persona?”

“Sì, uno che pareva un barbone. È spuntato anche lui dal nulla e ha steso Max con una scossa elettrica.”

Marvin pensò che forse era meglio smetterla di fare finta di non sapere quello che stava succedendo. Doveva dirle la verità. Dunque si fece coraggio. “Cristina”, disse, “l’uomo bianco lo conosco. Mi ha detto che fa parte di un’organizzazione segreta e mi ha mostrato delle cose.”

“Cose?”, domandò Cristina, “che tipo di cose?”

“Orribili”, rispose Marvin: “Mi ha mostrato il futuro.”

Cristina lo guardò come se lui avesse appena detto un’eresia. “Marvin, ti prego”, ribatté poi sconsolata, “dimmi solo perché il mio amico ha appena tentato di uccidermi.”

“Non capisco bene. Cristina, qui sono in ballo cose più grandi di te e di me, forse di tutto il mondo. E il tuo amico credo sia un altro viaggiatore del tempo.”

“Mi prendi in giro? E poi scusa, che significa un altro?”

“Anche l’uomo vestito di bianco è un viaggiatore. Si chiama agente X e si sposta nello spazio e nel tempo alla velocità del pensiero. Non so altro. Pure io non volevo crederci, ma poi questo X mi ha portato nel futuro, e non è un bello spettacolo, credimi!”

A quel punto ci fu un silenzio imbarazzante e Marvin percepì che Cristina non voleva credere a una sola parola. Allora si fece ancor più coraggio e le prese la mano. “Cristina”, ripeté il suo nome ancora una volta, “fidati di me. Non capisco cosa sta succedendo, ma a quanto pare Max c’è dentro fino al collo.”

Passarono un intero minuto in totale silenzio. Poi, senza dire una parola, Cristina appoggiò la testa sul petto di Marvin e lui le cinse la spalla con un braccio. A quel punto lei lo guardò fisso negli occhi e poi, tutta tremante, lo baciò.

 

Zero Alfa: capitolo 19

Controlli mentali

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

Cristina camminava con Max Barr tra le strade di Manhattan. Si sentiva stranamente bene con lui, anche se non sapeva perché; però c’era qualcosa che non andava: ad ogni passo in più, la ragazza avvertiva una specie di nebbia che le appannava il cervello, come se ci fosse una forza… qualcosa che le impediva di ragionare in modo lucido.

Stavano passeggiando lungo la Settima Avenue da qualche minuto, quando Max si fermò, la guardò negli occhi e le disse con tono dolce: “Devo dirti una cosa”.

Lei, ricambiando il suo sguardo tenero, rispose: “Dimmi”.

“Da quanto ci conosciamo noi due?”, chiese lui.

Lei provò a ricordare, ma la sua mente era davvero appannata. “Io… non ricordo”, disse.

“Sono due anni”, fece lui.

“Due anni…?”, chiese lei confusa. Non ricordava che fosse passato così tanto tempo. Si sentiva così strana…

Max la guardò negli occhi e, in tono ancora più dolce, le mormorò: “Dalla prima volta che ti ho vista mi sei piaciuta”, quindi si avvicinò per baciarla. Lei però non era del tutto convinta, eppure non riusciva a resistergli.

All’improvviso, un leggero venticello scosse i capelli di lei. Un istante dopo, dal nulla apparve l’agente X che si frappose subito tra i due, distanziandoli.

Preso alla sprovvista, Max Barr fece due passi indietro. “Tu!”, ringhiò rivolto all’agente, “come hai fatto a…”

X non perse altro tempo: estrasse dai pantaloni la bacchetta xavica e la puntò contro il terrorista temporale, pronto a colpirlo. Max, però, si dimostrò più svelto e mentre l’agente estraeva la bacchetta, con un gesto rapido lo spinse di lato, afferrò Cristina per un braccio e la trasse a sé. La tenne ferma mentre faceva scattare un coltellino a serramanico. Lo puntò alla gola di Cristina, che non riusciva nemmeno ad urlare, tanto era spaventata.

“Che vuoi fare, Max?”, chiese X, la bacchetta puntata contro il terrorista.

“Tu che dici…?”, rispose Max, visibilmente nervoso. “Posa quella stupida bacchetta, altrimenti giuro che le taglio la gola.”

“Non lo farai.”

“Perché no?”

“Se la uccidi, distruggerai un nodo Zero Alfa!”

“Non mi importa. Lo avrei distrutto comunque.”

“Non sai quello che dici! Se distruggi uno Zero Alfa, provochi…”

Non fece in tempo a finire la frase. All’improvviso Max Barr fu preso da strani spasmi, finché cadde a terra, svenuto. Dietro di lui, Artemius fece un passo avanti. Aveva in mano un teaser, uno di quegli aggeggi che provocano scosse elettriche ad alto voltaggio.

Cristina si sentì mancare e X corse subito a soccorrerla: “Cristina, stai bene?”, le chiese.

“Sì…”, rispose lei a fatica, “ma voi… chi siete?”

“Amici”, rispose Artemius lisciandosi la barba.

“Vai a casa”, le suggerì amorevolmente l’agente.

“Io…”, ribatté lei con un filo di voce. Guardò Max steso a terra: “Che gli avete fatto?”, chiese spaventata.

“Ha cercato di ucciderti”, rispose Artemius. Lei però non capiva.

“Vai a casa”, tornò a ripeterle X.

Cristina era in preda allo choc. Non ricordava nulla di quanto successo nell’ultima ora. Come c’era finita in quel vicolo? E chi erano queste persone? E perché il suo amico Max era steso a terra? Era… morto?

Disperata, raccolse la borsetta, che nel frattempo era finita per terra, e fece finta di allontanarsi. Cercò il cellulare. Lo trovò. Accese lo schermo. Stava già per comporre il nove-uno-uno, quando all’improvviso, per un motivo che non sapeva spiegarsi, le venne in mente Marvin.

Zero Alfa: capitolo 18

Un mondo morto

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

New York. Emblema di un mondo morto. I più importanti grattacieli di Manhattan, quelli che erano stati il centro di una città un tempo chiamata “la grande mela”, erano ridotti a un cumulo di macerie. Abbandonati al loro destino, i palazzi intorno a Times Square resistevano ancora, ma oramai erano allo stremo delle forze. Presto anche loro si sarebbero arresi alla forza devastante della natura, che con piante infestanti di ogni tipo aveva invaso strade, mura, finestre e tralicci.

In uno dei vicoli di Wall Street, un cartello segnaletico aveva resistito alla devastazione che aveva disintegrato la città intera. Stava in piedi per miracolo da anni, ma bastò un’ultima leggera folata di vento a spezzarlo in due. La parte superiore piombò sull’asfalto e l’eco metallica rimbalzò per tutto l’isolato. Un secondo dopo, l’agente X e Marvin comparvero proprio lì davanti.

Liberatosi con uno strattone dalla presa dell’agente, Marvin si guardò intorno smarrito.

“Dove sono?”, chiese.

“A New York”, rispose X.

Marvin fece qualche passo in avanti e osservò le rovine che lo circondavano.

“Questa… non è New York!”, disse.

“In effetti no…”, rispose l’agente, “non ancora, almeno. È ciò che accadrà alla città se tu non farai qualcosa”.

Marvin notò il cartello per terra; si chinò e lo raccolse. Era consumato e scrostato.

“Benvenuto nel futuro, ragazzo”, mormorò X.

“Non capisco…”, disse Marvin. “E dici che tutto questo dipenderà da me? Ma com’è possibile?”

“È l’effetto farfalla…”, rispose X, “una piccola azione ne provoca un’altra… e questa un’altra… e un’altra ancora, in una catena infinita. È così che funziona.”

“E Cristina cosa c’entra?”

“Non ne ho idea! Forse siete collegati, dovete fare qualcosa di molto importante insieme, non lo so… Magari è solo il destino… Va’ a sapere come vanno certe cose!”

“Credevo che tu avessi tutte le risposte.”

Marvin posò a terra il cartello e rimase fermo ad osservare quel mondo morto. Senza che se fosse reso conto, una lacrima era scesa sulla sua guancia.

“Ma io non so cosa devo fare”, disse con un filo di voce.

X si avvicinò di più e gli mise una mano sulla spalla: “Nessuno sa che cosa deve fare. La vita è imprevedibile, ma tu segui l’istinto e ricordati che la rosa attende alla fine della strada.”

Marvin si asciugò la lacrima. “Cosa significa?”, chiese guardando l’agente dritto negli occhi. Ma X non rispose e un istante dopo erano già scomparsi. Lasciarono quel luogo dimenticato da Dio e tornarono da Artemius, che li aspettava con impazienza.

“Finalmente!”, esclamò contento nel vederli riapparire tutti interi. “E ora che si fa?”

X sorrise prima di rispondere: “Ora si fa una bella sorpresa all’amico Max.”

 

Zero Alfa: capitolo 17

 

Vedere per credere

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

Sfruttando il bracciale nero, l’agente X e Artemius tornarono alla linea temporale di Marvin. Comparvero all’interno di un bagno pubblico. Di fronte a loro c’era la tazza di un vater con tanto di catenella arrugginita per lo sciacquone.

“Carino qui”, commentò sarcastico Artemius, “in quale luogo mistico e affascinate mi hai portato questa volta, agente?”

X lo guardò male, ma si limitò a sospirare. All’improvviso, la porta alle loro spalle si aprì. Marvin Richardson li guardò allucinato: “Non è possibile!”, disse sfregandosi la faccia con le mani, “Perché continui a perseguitarmi? E tu, chi sei?”, aggiunse poi rivolto ad Artemius.

X e Artemius uscirono dal bagno, si guardarono l’un l’altro e poi risposero in coro: “È una storia lunga.”

Marvin incrociò le braccia e guardò l’agente X dritto negli occhi: “Che diavolo vuoi ancora?”

“Marvin, non c’è più tempo!”, rispose concitato l’agente, “devi assolutamente incontrare Cristina prima di Max!”

“Troppo tardi”, rispose Marvin, “e poi comunque non ho tempo stasera, devo lavorare.”

Fece per uscire, ma X lo trattenne per un braccio.

“Lasciami andare!”, gridò Marvin.

“E va bene”, rispose l’agente, “se non riesco convincerti con le buone…”

X chiuse gli occhi e poi lui e il ragazzo svanirono entrambi nel nulla.

Rimasto solo, Artemius si guardò intorno smarrito. “Ecco”, piagnucolò, “e adesso chissà dove l’ha portato… Giuro che quando questa storia sarà finita, lo ammazzo.”

 

Zero Alfa: Capitolo 16

Ma tu… chi sei?

 

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

X era abituato a viaggiare nel tempo, ma di solito lo faceva utilizzando un braccialetto bianco collegato al cervello. Bastava immaginare un luogo e un periodo temporale – di solito associato ad un ricordo o ad un oggetto significativo – per saltare qua e là nel tempo e nello spazio.

Ad ogni viaggio, il cerebracciale registrava le coordinate d’arrivo e le trasmetteva alla Fondazione Tempo, la centrale operativa degli agenti intertemporali.

Attraversare una porta, però, era diverso. Le porte erano imprevedibili: potevano aprirsi ovunque e condurti in luoghi sconosciuti e in epoche oscure. Non fu questo il caso, per fortuna.

X fu letteralmente “sputato” dalla porta intertemporale e cadde con la faccia per terra. Non ebbe il tempo di rimettersi in piedi che Artemius gli piovve addosso come un sacco di patate, appiattendolo di nuovo al suolo.

“Un bel giretto!”, commentò Artemius rialzandosi. Intanto il bagliore azzurrognolo della porta si affievoliva sempre più e infine il buco spazio-temporale scomparve lasciando X e Artemius completamente al buio.

X estrasse dalla tasca la piastrina bianca. “Attiva!”, disse. E dopo aver ripetuto la frase password, l’agente ordinò a Giny di illuminare l’ambiente circostante. Si trovavano in un luogo chiuso, probabilmente in uno scantinato. C’erano oggetti di varie dimensioni coperti con dei teli scuri. La quantità di polvere e ragnatele su di essi indicava un evidente stato di abbandono.

“X… dove siamo?”, chiese Artemius.

“Sembrerebbe un posto abbandonato da tempo”, rispose l’altro.

“Un’altra mela marcia?”

“Non credo.”

“Come fai a dirlo?”

L’agente non rispose. Raccolse il suo cappello, che era rotolato poco più in là al suo arrivo, e fece qualche passo. Giny lo seguiva a ruota illuminando le pareti circostanti.

“X…?”, lo richiamò Artemius che aveva preferito rimanere qualche passo indietro, così era rimasto fuori dal cono di luce, e questo lo agitava parecchio.

“X…”, ripeté quasi bisbigliando. L’agente però non rispondeva.

A quel punto Artemius sollevò la gamba per fare un passo. “Fermo!”, gridò X, “non ti muovere!”. Era comparso all’improvviso alle sue spalle.

Artemius rimase pietrificato, con la gamba sollevata e lo sguardo terrorizzato. X si mise con la pancia per terra di fronte a lui; appoggiò l’orecchio su una delle mattonelle di cui era lastricato l’intero pavimento.

“Ma che succede?”, chiese Artemius ritirando la gamba.

“Sssh!”, fece l’altro mentre ascoltava il pavimento.

Poi, all’improvviso si alzò e chiamò a sé Giny. La piastrina bianca si posizionò di fronte a lui, in attesa di input. “Giny, amica mia…”, disse, “puoi estrarre questa mattonella, per piacere?”, e indicò la mattonella in questione.

Giny eseguì la richiesta in meno di tre secondi e così scoprì una piccola nicchia nel terreno. Dentro c’era un bracciale nero.

“E quello che diavolo è?”, chiese Artemius.

“Un cerebracciale”, rispose X.

“Nero…?”

“Sì.”

“Credevo che i cerebracciali fossero tutti bianchi.”

“Dipende dal materiale.”

“Che vuol dire? I cerebracciali sono fatti di xavia, giusto? E non è che lo puoi colorare… o no?”

“No, non puoi. Lo xavia puro è bianco, ma esiste anche lo xavia nero.”

“Non lo sapevo.”

“Nessuno lo sa, è un progetto top-secret. Solo gli agenti X come me ne sono a conoscenza.”

“Ma dai!”

X raccolse il bracciale e se lo mise al polso; quindi si rimise in piedi e chiamò a sé Giny.

“Come sapevi dell’esistenza di quel bracciale?”, chiese Artemius.

“Perché io qui ci ho lavorato”, rispose X, “era il mio laboratorio.”

Artemius lo guardò perplesso: “Ma tu… chi sei?”, gli chiese. Questa domanda, però, rimase senza risposta.

“Andiamo!”, disse l’uomo bianco sistemandosi il cappello in testa, “dobbiamo impedire a Max di distruggere un’altra linea temporale!”

Raggiunse uno di quei teli scuri e scoprì l’oggetto che vi si trovava sotto.

“E quella che roba è?”, chiese Artemius.

Una morsa d’acciaio teneva bloccata una bacchetta di trenta centimetri bianca come l’avorio. Per sbloccarla ci voleva una combinazione alfanumerica. X provò a digitarla… Tirò un sospiro di sollievo quando la morsa si allentò. Prese quindi con estrema delicatezza la bacchetta e la accarezzò, come fosse un bambino. Sulla base erano incise due lettere: S e P.

“Questa, mio caro, è una bacchetta di xavia”, spiegò.

“E a cosa serve?”, chiese Artemius.

L’agente infilò la bacchetta nei pantaloni e sorridendo rispose: “Lo vedrai.”

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