Ma tu… chi sei?
Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini
X era abituato a viaggiare nel tempo, ma di solito lo faceva utilizzando un braccialetto bianco collegato al cervello. Bastava immaginare un luogo e un periodo temporale – di solito associato ad un ricordo o ad un oggetto significativo – per saltare qua e là nel tempo e nello spazio.
Ad ogni viaggio, il cerebracciale registrava le coordinate d’arrivo e le trasmetteva alla Fondazione Tempo, la centrale operativa degli agenti intertemporali.
Attraversare una porta, però, era diverso. Le porte erano imprevedibili: potevano aprirsi ovunque e condurti in luoghi sconosciuti e in epoche oscure. Non fu questo il caso, per fortuna.
X fu letteralmente “sputato” dalla porta intertemporale e cadde con la faccia per terra. Non ebbe il tempo di rimettersi in piedi che Artemius gli piovve addosso come un sacco di patate, appiattendolo di nuovo al suolo.
“Un bel giretto!”, commentò Artemius rialzandosi. Intanto il bagliore azzurrognolo della porta si affievoliva sempre più e infine il buco spazio-temporale scomparve lasciando X e Artemius completamente al buio.
X estrasse dalla tasca la piastrina bianca. “Attiva!”, disse. E dopo aver ripetuto la frase password, l’agente ordinò a Giny di illuminare l’ambiente circostante. Si trovavano in un luogo chiuso, probabilmente in uno scantinato. C’erano oggetti di varie dimensioni coperti con dei teli scuri. La quantità di polvere e ragnatele su di essi indicava un evidente stato di abbandono.
“X… dove siamo?”, chiese Artemius.
“Sembrerebbe un posto abbandonato da tempo”, rispose l’altro.
“Un’altra mela marcia?”
“Non credo.”
“Come fai a dirlo?”
L’agente non rispose. Raccolse il suo cappello, che era rotolato poco più in là al suo arrivo, e fece qualche passo. Giny lo seguiva a ruota illuminando le pareti circostanti.
“X…?”, lo richiamò Artemius che aveva preferito rimanere qualche passo indietro, così era rimasto fuori dal cono di luce, e questo lo agitava parecchio.
“X…”, ripeté quasi bisbigliando. L’agente però non rispondeva.
A quel punto Artemius sollevò la gamba per fare un passo. “Fermo!”, gridò X, “non ti muovere!”. Era comparso all’improvviso alle sue spalle.
Artemius rimase pietrificato, con la gamba sollevata e lo sguardo terrorizzato. X si mise con la pancia per terra di fronte a lui; appoggiò l’orecchio su una delle mattonelle di cui era lastricato l’intero pavimento.
“Ma che succede?”, chiese Artemius ritirando la gamba.
“Sssh!”, fece l’altro mentre ascoltava il pavimento.
Poi, all’improvviso si alzò e chiamò a sé Giny. La piastrina bianca si posizionò di fronte a lui, in attesa di input. “Giny, amica mia…”, disse, “puoi estrarre questa mattonella, per piacere?”, e indicò la mattonella in questione.
Giny eseguì la richiesta in meno di tre secondi e così scoprì una piccola nicchia nel terreno. Dentro c’era un bracciale nero.
“E quello che diavolo è?”, chiese Artemius.
“Un cerebracciale”, rispose X.
“Nero…?”
“Sì.”
“Credevo che i cerebracciali fossero tutti bianchi.”
“Dipende dal materiale.”
“Che vuol dire? I cerebracciali sono fatti di xavia, giusto? E non è che lo puoi colorare… o no?”
“No, non puoi. Lo xavia puro è bianco, ma esiste anche lo xavia nero.”
“Non lo sapevo.”
“Nessuno lo sa, è un progetto top-secret. Solo gli agenti X come me ne sono a conoscenza.”
“Ma dai!”
X raccolse il bracciale e se lo mise al polso; quindi si rimise in piedi e chiamò a sé Giny.
“Come sapevi dell’esistenza di quel bracciale?”, chiese Artemius.
“Perché io qui ci ho lavorato”, rispose X, “era il mio laboratorio.”
Artemius lo guardò perplesso: “Ma tu… chi sei?”, gli chiese. Questa domanda, però, rimase senza risposta.
“Andiamo!”, disse l’uomo bianco sistemandosi il cappello in testa, “dobbiamo impedire a Max di distruggere un’altra linea temporale!”
Raggiunse uno di quei teli scuri e scoprì l’oggetto che vi si trovava sotto.
“E quella che roba è?”, chiese Artemius.
Una morsa d’acciaio teneva bloccata una bacchetta di trenta centimetri bianca come l’avorio. Per sbloccarla ci voleva una combinazione alfanumerica. X provò a digitarla… Tirò un sospiro di sollievo quando la morsa si allentò. Prese quindi con estrema delicatezza la bacchetta e la accarezzò, come fosse un bambino. Sulla base erano incise due lettere: S e P.
“Questa, mio caro, è una bacchetta di xavia”, spiegò.
“E a cosa serve?”, chiese Artemius.
L’agente infilò la bacchetta nei pantaloni e sorridendo rispose: “Lo vedrai.”