Zero Alfa: Capitolo 6

 

Nei pressi di Times Square…

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

Il giorno dopo la sveglia suonò alle sette in punto. Marvin si alzò e si preparò ad uscire. Alle sette e un quarto era fuori di casa. Prese la bici e si avviò da Starbucks, anche se non sapeva di preciso cosa stesse facendo.

“Pazzesco!”, ripeteva ad ogni pedalata. “Sto dando retta a un pazzo vestito di bianco che si è gettato dalla mia finestra!”

Raggiunto Starbucks, legò la bici e si avviò all’ingresso del locale. Rimase per un momento a fissare la vetrina, allungando il collo: voleva vedere se Cristina fosse davvero lì dentro. Non la vide.

Marvin rimase lì fuori un paio di minuti senza sapere che fare; poi si decise ad entrare. Dopotutto, aveva fame. Ordinò quindi un pancake e un caffè e si sedette in un angolino in fondo alla caffetteria.

L’orologio del locale segnava le sette e trenta, ma Cristina non c’era.

Passarono dieci minuti. Marvin aveva quasi finito la colazione e stava per andarsene, quando eccola spuntare da dietro l’angolo. Lei lo vide subito e gli si fece incontro sorridente.

“Marvin!”, esclamò, “che combinazione!”

Lui sollevò timidamente una mano ma non le rispose.

“Posso sedermi qui?”, chiese Cristina indicando la sedia vuota di fronte a lui.

“Certo, fai pure”, rispose Marvin.

“Allora”, fece lei, “che fai stamattina?”

“Bah… vado un po’ in giro.”

“In giro, dove?”

“Qua e là, in cerca di ispirazione per un nuovo spettacolino… niente di che.”

“Capito.”

Seguì una pausa a dir poco imbarazzante.

“Volevo chiederti”, provò a dire Marvin, “ti andrebbe di…”, stava per concludere, ma la frase gli morì in gola per l’emozione. Il cuore gli batteva a mille.

“…Sì?”, lo provocò lei.

In quel momento apparve dal nulla un ragazzo moro con un giubbino di pelle che si fermò di fianco a Cristina e rimase lì ad osservarla; lei subito non lo aveva notato, ma quando Marvin sollevò gli occhi, Cristina seguì la traiettoria dello sguardo e incontrò un volto evidentemente familiare.

“Max!”, esclamò stupita, e si alzò per abbracciarlo.

“Cristina!”, rispose giubbino di pelle rispondendo all’abbraccio con un certo trasporto.

“Ecco, questo dev’essere il suo ragazzo”, si disse Marvin sbuffando.

“Max, lui è Marvin”, li presentò Cristina: “Marvin… Max!”

I due si strinsero la mano. Lo sguardo di Marvin cadde allora sul particolare bracciale bianco che Max portava al polso destro: sembrava uno di quei braccialetti di gomma che si acquistano a pochi spiccioli in qualunque mercatino, eppure… eppure c’era qualcosa di diverso…

E mentre Marvin si perdeva in mille pensieri, Max si era già seduto accanto a Cristina e gli stava tenendo la mano. Scherzavano tra loro ignorandolo. Era come se Marvin non esistesse. E dopo un po’ decise che ne aveva avuto abbastanza.

“Devo andare, Cristina”, disse in tono perentorio. Lei però sembrò non averlo udito; con occhi bassi aveva preso un foglietto di carta dalla borsa e ci stava scrivendo sopra qualcosa, probabilmente qualcosa dettatole da Max, aveva pensato Marvin. Comunque decise che non aveva senso perdere altro tempo: si alzò e si avviò con passo deciso verso l’uscita.

Stava quasi per uscire ma fu bloccato da una voce femminile: “Marvin, aspetta!”

Cristina lo raggiunse correndo e sventolando il foglietto su cui aveva appena scritto qualcosa. Lo piegò in quattro e glielo consegnò. “Questo è… insomma… il mio numero personale. Se ti va, magari una sera di queste potremmo vederci”. Sorrise. Le sue guance erano diventate improvvisamente rosse. “Oh… come amici, eh?”, si affrettò ad aggiungere, “non fraintendere!”. Tornò quindi al tavolo e si rimise a parlare con Max ‘giubbino di pelle’.

Marvin rimase qualche istante ad osservare il foglietto. Lo aprì lentamente, trattandolo quasi come fosse una reliquia. All’interno c’era un numero di telefono e accanto il nome “Cristina”. Al posto del punto, sulle “i” c’erano due piccoli cuoricini.

Uscito dallo Starbucks, prese la bici e si avviò a Central Park. Quel posto era l’ideale per liberare la testa dai cattivi pensieri.

Raggiunta la prima panchina libera, appoggiò la bici e si sedette; estrasse dalla tasca il foglietto di Cristina e rimase lì ad osservarlo. Dopo un po’ una persona si sedette accanto a lui.

“Che aspetti a chiamarla?”

 

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