Zero Alfa: capitolo 4

Un nome, tanti misteri

Testi: Enrico Matteazzi
Illustrazioni: Elettra Casini

 

La ragazza dalle rose rosse spuntò all’improvviso da dietro l’angolo e Marvin fu costretto a sterzare; non riuscì però a mantenere l’equilibrio e rovinò a terra. Si rialzò subito e raccolse la bicicletta.

Intanto la ragazza si era fatta più vicina. Teneva in mano una sigaretta accesa. “Scusami!”, disse, “ti ho spaventato?”

Lui cercò le parole per rispondere ma non le trovò.

“Hai appena staccato?”, chiese ancora lei.

“Sì. E tu… che fai?”

“Fumo.”

“Non dovresti”.

Silenzio. Marvin la guardò negli occhi. “I tuoi amici?”

“Andati.”

“Ti hanno lasciata sola?”

“So badare a me stessa, e poi abito qui vicino.”

“Capisco. Beh… io sto vicino a Central Park.”

“Ah, devi fare un pochino di strada allora.”

“Non molta, per la verità. Sai, in bici…”

Marvin si sentiva in imbarazzo. Cercò aiuto nel traffico notturno e così facendo il suo sguardo incontrò quello dell’uomo bianco, dall’altra parte della strada. Stava in piedi con le braccia conserte. Ora la sua faccia sbarbata si vedeva bene sotto quel cappello di feltro. Ma che faceva… sorrideva? Marvin non vedeva bene da quella distanza e con tutte le macchine che passavano.

“Beh, io vado verso casa”, disse all’improvviso la ragazza.

“Aspetta!”, la bloccò Marvin, “non mi hai detto come ti chiami!”

Lei rise e aspirò ancora un po’ di fumo.

“Non dovresti fumare“, ripeté Marvin.

Lei non rispose. Disse solamente: “Ti va di accompagnarmi?”

Marvin però non l’aveva sentita. Era tornato a guardare il traffico… Questa poi! L’uomo bianco era sparito di nuovo!

“Ehilà! Ci sei?”, lo richiamò la ragazza misteriosa. “Ho detto: ti va di accompagnarmi?”

“Certo certo… sì.”

Dunque si avviarono.

“Allora”, disse lei, “fai qualcos’altro, oltre al cameriere?”

“In effetti sì, sarei uno sceneggiatore.”

“Saresti?”

“Sì, beh…”

“Non dovresti andare a Hollywood, o cose così?”

“Per i miei genitori quelle cose sono perdite di tempo. Mi hanno spedito qui anni fa credendo che New York potesse farmi fare la carriera che loro non hanno mai fatto.”

“E ti sta dando qualcosa?”

“Cinque anni che sono qui e lavoro al McGee, ti pare che mi stia dando qualcosa? I miei credono che io stia diventando un uomo d’affari, invece mi ritrovo a scrivere sceneggiature per i teatri minori e a servire ai tavoli rovesciando di tanto in tanto la birra sui vestiti delle belle ragazze.”

Lei sorrise: “Beh, non è così male, no?”

“Dipende… Tu invece, cosa fai nella vita?”

“Questo e quello.”

“Sei una ragazza misteriosa!”

“Eh… sì.”

E poi lei si bloccò; così, in mezzo al marciapiede. Rimase ad osservare Marvin qualche istante negli occhi e poi rise di nuovo.

“Che c’è da ridere?”, chiese lui, “che ho detto?”

“Niente, è solo che… non so, mi ispiri simpatia.”

“Ah, ecco.”

“Sì insomma, dai… sei divertente!”

Intanto avevano ripreso a camminare.

“Resterai a New York?”, chiese lei.

“Forse”, rispose lui.

I due continuarono a parlare fino a che non furono sotto casa di lei, che abitava in uno dei palazzi più vecchi. Marvin avrebbe voluto chiederle di uscire di nuovo, ma alla fine gli mancò il coraggio. In fondo non sapeva neanche se aveva il ragazzo oppure no. Stava per chiederglielo, quando lei lo sorprese: “Cristina”, disse.

“Come?”, fece lui.

“Il mio nome… Cristina.”

 

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